giovedì 19 febbraio 2015

Uno, Nessuno, Centomila. Luigi Pirandello.

Uno, Nessuno, Centomila. Di Luigi Pirandello.



Vitangelo Moscarda (detto Gengè) è un uomo benestante che abita in un paesino chiamato Richieri. Una mattina, sua moglie Dida, gli fa notare che il naso gli pende leggermente a destra; da quel piccolo difetto, da sempre ignorato, Vitangelo si rende conto che agli occhi altrui non appare quel che realmente è ma ciò che la società gli impose, e che in realtà lui stesso non conosce il suo vero essere.
Nel tentativo di mostrare alla società, o forse a lui stesso, quel che realmente è, Vitangelo compie degli atti del tutto inusuali agli occhi di chi lo conosceva prima della crisi: Sfratta una famiglia, per poi regalarle un appartamento nuovo; decide di liquidare la banca per avere tutti i suoi risparmi; esplode in improvvisi attacchi d'ira, seguiti da discorsi privi di senso, sino a sembrare matto, tanto da far fuggire sua moglie e quelli che prima erano i suoi amici.
Gengè viene a conoscenza da Annarosa, un'amica della moglie, delle pratiche incorso, attuate dalla stessa Dida e da altri suo "amici", per farlo rinchiudere in un manicomio. Ormai solo, e bisognoso di confidarsi con una persona, stringe una profonda amicizia con Annarosa e le svela tutti i suoi pensieri e le sue conclusioni sulla vita; ma essendo anch'ella una donna, se pur buona, troppo semplice per capire l'animo di Vitangelo, rimane talmente sconvolta da tentare di ucciderlo. In fine, il povero Moscarda, conosce il vescovo Mons che gli consiglia di donare tutti i suoi beni ai poveri; e riuscirà a trovare la pace, ed il suo equilibrio interiore, solo dopo essersi ritirato in un ospizio per poveri fondato da lui stesso, dove accetterà, finalmente, il suo "non essere".



Questo romanzo, di carattere filosofico, non vuole trasmettere un messaggio ben definito, ma lascia la possibilità, a noi lettori, di attribuirgli un significato.
"Ma il guajo è che voi, caro mio, non saprete mai come si traduca in me quello che voi mi dite. Non avete parlato turco, no. Abbiamo usato, io e voi, la stessa lingua, le stesse parole. Ma che colpa abbiamo, io e voi, se le parole, per sé, sono vuote? Vuote, caro mio. E voi le riempite del senso vostro, nel dirmele; e io, nell'accoglierle, inevitabilmente, le riempo del senso mio. Abbiamo creduto d'intenderci; non ci siamo intesi affatto."
Lo scrittore, attraverso queste parole, può trasmettere, a noi lettori, centomila significati diversi; sta a noi noi decidere quale di questi "centomila" sia quello più adatto, quello giusto. Come queste parole, l'intera opera può regalarci centomila messaggi diversi, centomila finali. E come questa pietra miliare della letteratura italiana, la stessa vita che viviamo ogni giorno può essere vista attraverso "centomila" occhi diversi. Lo stesso Vitangelo Monscarda decide in fine di cambiare il modo di vedere e di pensare, ed accetta il suo non essere trovando la pace in ospizio per poveri, senza né beni e né mogli, cose che prima gli causavano dolore, assieme al suo modo "complicato" di vedere e di pensare.
Più che un semplice romanzo, l'intera opera può essere considerata come una grande poesia, o un testo di filosofia, o più semplicemente, uno stile di vita.




Recensione a cura di Gaetano Agostino.